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LA MIA FILOSOFIA FORMATIVA

Mi sono laureato a Genova nel 1987 ma ho cominciato a frequentare gli studi dentistici già dal 1982.

Ho seguito i corsi annuali dei dottori  Fradeani, Pontoriero e Simion.

Ho visitato come osservatore l’università di Pennsylvania e di Basilea.

Sono socio attivo AIOP e sono stato socio attivo di EAED e IAO.

Ho tenuto i corsi più disparati su argomenti inerenti la protesi fissa, sia annuali sia giornalieri, sia privati sia organizzati dalle accademie di cui sono socio.

È più di 30 anni che vivo il panorama culturale odontoiatrico da entrambi i punti di vista e posso dire senza tema di smentita che il punto debole di qualunque programma culturale è la disomogeneità di preparazione dei partecipanti.

In parole povere mentre il programma è unico, ogni alunno ha il suo bagaglio di conoscenze teoriche e di pratica clinica diverso rispetto a quello degli altri compagni di studio.

Questo stato di fatto comporta una fruizione parziale dei contenuti proposti.

Sono poco soddisfatti quelli con maggiore esperienza perché parte del programma lo sanno già.

Sono poco soddisfatti quelli con minore esperienza perché parte del programma gli è sconosciuto e non riescono a seguire il filo del discorso.

Così è e sempre sarà.

Un altro aspetto fondamentale è la possibilità di mettere in pratica quanto appreso durante il corso.

A tal proposito bisogna fare un distinguo molto importante circa la struttura del corso.

  1. Corso teorico in cui il relatore tiene la sua lezione. Il mezzo di comunicazione può essere il più sofisticato possibile ma gli alunni muovono le mani solo per prendere appunti. La sede è la più disparata, da una sala congressi ad uno studio privato

  2. Corso pratico in cui il relatore fa da assistente all’alunno che porta un suo paziente ed esegue l’operatività oggetto del corso. La sede tipicamente è lo studio del relatore. Lo sforzo da parte dell’alunno nel selezionare il paziente adatto, spostarlo nello studio del relatore e dare tutta una serie di giustificazioni è sempre molto complicato.

Replicare però la struttura dello studio del relatore ed iniziare da soli ad eseguire le stesse operatività è sempre motivo di ansia e pesante sacrificio organizzativo. Non tutti sono sufficientemente motivati a seguire il percorso intrapreso; alcuni si arrendono e rinunciano, altri decidono di accettare compromessi.

La coscienza delle difficoltà nel trasmettere la propria esperienza ad altri non mi ha mai stimolato ad organizzare personalmente dei corsi strutturati.

Ho sempre preferito fare il freelance per le diverse società culturali come anche accogliere nel mio studio i colleghi.

Chi frequenta il mio studio ha visto l’evoluzione che ha subito la mia pratica professionale negli ultimi dieci anni man mano che ho sfruttato sempre più massivamente le tecnologie informatiche.

Ad oggi sono completamente digitalizzato ossia progetto i trattamenti, eseguo le terapie e realizzo i restauri in maniera totalmente autonoma.

Questo cambiamento è stato per me un enorme stimolo per approfondire tutti gli aspetti della funzione dell’organo masticatorio e prendere coscienza del fatto che un conto è dare delle indicazioni ed un conto è realizzare un restauro, provarlo, individuarne le criticità funzionali e rifarlo per perfezionarne l'integrazione.

È un arricchimento clinico di un valore inestimabile.

Ma è anche un modello di lavoro non replicabile che è giusto catalogare come “estremizzazione della pratica professionale”.

Questa doverosa introduzione per chiarire una volta per tutte che il percorso di apprendimento non prevede sconti e che le tecnologie nuove, se mal utilizzate, complicano invece di facilitare.

Da più di sessanta anni a questa parte non ci sono più state novità circa la fisiologia e la patologia dell'organo masticatorio.

I capisaldi dei protocolli clinici sono sempre gli stessi; l'unica cosa che è cambiata è la classificazione.

Prima si parlava di stato dell'arte ora si parla di medicina basata sull'evidenza.

Ma la sostanza non cambia; e quindi circa la digitalizzazione deve essere chiaro che:

  1. Le tecnologie digitali sono il punto di arrivo e non il punto di partenza

  2. Le tecnologie digitali sono uno strumento e non una scorciatoia culturale

  3. Le tecnologie digitali sono un aiuto insostituibile alla pratica protesica in generale, a patto però di padroneggiare completamente la protesi convenzionale o analogica che dir si voglia.

Il mantenimento dello stato di salute funzionale, o il recupero dello stesso quando compromesso, ha come indicazione il recupero di una dentatura fissa in armonia con il sistema muscolo scheletrico.

Siccome per questioni culturali la gestione dell’ingranamento dentale (chiamato volgarmente gnatologia) è sempre stato appannaggio del protesista, allora che così sia.

Pertanto la pianificazione di qualunque trattamento deve essere fatta dal protesista.

Per questo si parla di implantologia protesicamente guidata o di preparazioni dentali protesicamente guidate.

Va bene che ottenere dei pilastri affidabili per sostenere la dentatura fissa sia compito del parodontologo, implantologo e tutte le figure professionali del comparto odontoiatrico.

Va bene che non esiste una figura più importante dell’altra ma esiste un ordine di comparsa dei professionisti che inizia e finisce con il protesista.

Chi condivide il mio modo di approcciare il paziente si è reso conto che la visione a 360° è la più soddisfacente ed efficace dal punto di vista professionale.

Ma necessità della raccolta di moltissimi dati che devono essere integrati e di facile consultazione per essere analizzati.

È solo accettando la sfida di questo cambiamento che si possono sfruttare appieno le tecnologie digitali.

È solo padroneggiando appieno la pratica analogica che si possono sfruttare appieno le tecnologie digitali.

Se mancano questi due presupposti i problemi sono subito dietro l’angolo.

Ecco perché parte dei colleghi che hanno cominciato ad apprezzare l’ebrezza di pianificare completamente il processo riabilitativo si sono trovati talvolta in difficoltà: gli mancava un pezzo di “sicurezza” circa un determinato passaggio, teorico o pratico, clinico o tecnico, che prima delegavano ad altri.

Avendo iniziato questo percorso molto prima degli altri, spesso sono stato invitato nello studio del collega per aiutarlo a risolvere determinate criticità e cosi, un po' per caso, è iniziata la mia pratica di consulente per cultura a domicilio.

Ho pertanto sentito l’esigenza di razionalizzare questo tipo di supporto.

Non propongo né corsi teorici o pratici dove ci sono diverse persone da accontentare, né la classica consulenza mordi e fuggi.

Ritengo le due formule superate ed anacronistiche.

La proposta formativa che mi dà maggiore soddisfazione è quella della mia presenza nello studio del collega dalla mattina alla sera; 12 ore in cui si lavora senza sosta.

Si parte dalla scrivania per pianificare i casi ed approfondire le richieste teoriche e poi si va alla poltrona per mettere in pratica quanto pianificato.

Il mio compito è sia stare dietro le spalle dell’operatore per guidarlo con discrezione, sia effettuare personalmente qualunque tipo di operatività diretta sul paziente se richiesto al momento o programmato in anticipo.

Quindi un servizio ritagliato su misura per il collega che mi ospita, senza perdita di tempo, senza l’imbarazzo legato alla presenza di estranei, ma soprattutto senza parlare di cose diverse dalla routine di quel determinato studio.

Lavorare con il ”paracadute” in casa propria, con il proprio personale, con le proprie abitudini, è l’unico modo per poter iniziare procedure che altrimenti, da soli, spesso non si ha il coraggio di fare. E non si tratta necessariamente di interventi chirurgici, ma anche procedure protesiche piuttosto che organizzazione del lavoro.

Trattare le criticità dei propri pazienti in casa propria ritengo sia l’unico mezzo veramente efficacie per rimettersi in gioco e crescere professionalmente.

Il paziente sarà seguito dall’inizio alla fine, per un determinato percorso terapeutico, senza viceversa essere “abbandonato” allo studio appena finita la prestazione in consulenza.

Anche l’accordo economico è fuori dagli schemi tipici delle consulenze.

La parcella è un forfait fisso a giornata indipendentemente da come impiegata: questo permette al collega di poter organizzare al meglio il tempo in base alle necessità teoriche o cliniche di quel preciso momento.

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